Quel venerdì 31 marzo dell'anno 1656, Orazio giaceva sul letto a baldacchino in una camera al primo piano della rocca.
Gli occhi, spalancati contro il soffitto a cassettoni, scrutavano l'oscirità che la luce ialina di un'aurora invernale schiariva a mano a mano, filtrando da una finestra a strapiombo sul Sasso del Lupo, volta all'occaso. Una recente nevicata aveva imbiancato le alture del Montefeltro ritardando la primavera.
Aurelio, dopo un breve riposo, era tornato al capezzale del fratello per vegliarlo al tremulo barlume delle candele che gareggiavano con il bruzzico. Il moribondo esalò l'ultimo respiro che sembrò quasi un sospiro di sollievo per essersi finalmente liberato da quel fardello così doloroso. Il giorno seguente tutto ebbe compimento e il grande Orazio ancora oggi riposa nella chiesa dei reverendi padri Capuccini di Sant'Agata Feltria, che aveva amato sopra ogni altra perchè intitolata al santo che per tutta la vita aveva pregato e invocato.